a cura di Giordano Ravera

La mente dietro al Verona: Giorgio Pedrollo è il referente della famiglia.

Abbiamo parlato con il vicepresidente della Scaligera, che si affida ai propri collaboratori all’interno della sua visione.

Giorgio Pedrollo è il vicepresidente della Tezenis Verona, figlio del proprietario Gianluigi Pedrollo. Ha il controllo della Scaligera insieme ai suoi collaboratori e ha le redini del cambiamento degli ultimi anni.

 

«La struttura della società – ci racconta – è diventata impegnativa, ognuno riempie i propri spazi. Lo scorso anno, dopo la promozione, ci siamo trovarti a riorganizzare tutto quanto in base al salto in A1. Un passo fondamentale: la maggior parte di noi ha visto la Scaligera prima del fallimento. C’è un sistema familiare, fatto di porte aperte in ufficio. Per la nostra famiglia è un divertimento costoso, non certo una fonte di guadagno. In società abbiamo un background storico e di competenze, le varie figure hanno vissuto le fasi del Club negli anni. Ci lavorano oltre 50 persone nel Verona», con una crescita costante dovuta soprattutto al salto in A.

 

 

Come ci hanno raccontato spesso, è proprio Verona a essere il fulcro di tutto: «Vogliamo che la città sia di aiuto: vivere a Verona è un vantaggio, c’è molto turismo ed è anche molto bella. La vicinanza con il Lago di Garda, inoltre, aiuta. È un punto di forza, gli americani che atterrano in Italia come dei marziani, rimangono sconvolti dalla bellezza. Nonostante la classifica non sorrida, e la scalata verso la salvezza sia impervia, i tifosi non hanno mai smesso di sostenerci. Il calore del pubblico è a dir poco fantastico».

 

Se hai giocato a Verona, o hai avuto un ruolo sportivo, puoi costruirti anche un post carriera: «Abbiamo aiutato i nostri ex giocatori o ex allenatori a inserirsi in ruoli aziendali, provando a formarli su alcune competenze del mondo lavorativo. I ruoli vanno rispettati e condivisi, poi c’è la presidenza che supporta e decide. A me piace condividere le proposte e dire la mia, ma voglio che siano le persone preposte a decidere poiché hanno le qualità e le conoscenze. Ad esempio, io ho un ufficio stampa a cui posso dire la mia, ma è lui che ha un retaggio giornalistico e sa la soluzione migliore in determinate circostanze».

 

 

C’è il rapporto con il padre, Gianluigi, e siamo curiosi di capire come si suddividono i compiti. «Mio padre è appassionato – prosegue Giorgio Pedrollo – e un grande manager, ma sul basket e i giocatori intervengo io. Il mio DS e il mio GM guardano i giocatori, li analizzo anche io. Poi viene presentata l’idea all’allenatore, che io voglio abbia la decisione finale», decisioni che ad ampio raggio arrivano anche dalle iniziative di LBA, con cui Verona si interfaccia da questa stagione anche a livello marketing: «Le idee di Gandini (ad di LBA, ndr) sono forti. Gli influencer ai palazzetti hanno portato un aumento di tifosi, la Supercoppa all’estero può funzionare. Non sono d’accordo, a volte, sul fatto di aver troppi americani. Ma è anche vero che se devi far l’Eurolega, poi, sei obbligato ad averli altrimenti vieni schiacciato dal resto d’Europa». Anche da questo punto di vista, Verona ha dovuto fare uno step: «Non eravamo preparati a un salto così grande. Senza entrandoci giornalmente, non ti aspetti che sia così elevato».

 

L’azienda va di pari passo con i risultati? In un certo senso. Ma soprattutto gli investimenti puoi calibrarli in base alle vittorie: «Dobbiamo cercare di salvarci dato che la città e gli sponsor hanno risposto in maniera positiva. L’entusiasmo è notevole. Vogliamo grandi soddisfazioni nei prossimi anni. La salvezza credo che porterebbe altri sponsor e possibilità di allestire roster superiore per tornare ai fasti di un tempo, nonostante il budget da fantascienza di Milano e Bologna con un gap al momento complicato da colmare».

 

Un passo alla volta, con meritocrazia: «Per due anni abbiamo rifiutato la wild card in A1, ma con che gioia e stimolo ci sarei andato? Ora è appagante: un progetto triennale che ha funzionato con i giovani al primo anno, sul campo. La differenza l’ha fatta l’allenatore, che li ha fatti maturare». Ma la più grande soddisfazione è una: «Il minibasket. È una gioia vedere quella nuvola di bambini dietro al pallone. Il basket italiano deve puntarci».