Il mio terzo tempo

di Lorenzo Caroti



Sono cresciuto in un ambiente che mi ha educato all’errore, alla fine penso al fatto che sto facendo quello che ho sempre sognato e per cui ho lavorato.


La chiave di tutto è l’allenamento: se dai il 100% con la giusta attitudine e serietà, allora quando scendi in campo ti senti pronto e riesci ad affrontare qualsiasi avversario in qualsiasi contesto. Un credo che ho fatto mio sin da quando ho iniziato a giocare seriamente, a 11 anni nella squadra della mia città, Cecina. Lì ho fatto il mio esordio in Serie B a 15 anni. È stata un’emozione grandissima, che a molti avrebbe fatto tremare le gambe, ma non a me.


Ho sempre pensato che se ti trovi in una certa situazione vuol dire che quell’opportunità te la sei meritata, quindi devi fare del tuo meglio e cogliere l’occasione.


Quando sono in campo cerco di essere semplicemente me stesso, il giocatore che sono. Il mio obiettivo principe è vincere, se per farlo devo fare 20 ci provo, se serve giocare 2 minuti lo faccio, sono disposto a tutto pur di trionfare. A 21 anni vuoi solo stare in campo, tanto, e fare bene. Crescendo però ti rendi conto che la cosa che davvero ti interessa è vincere. Quando giochi bene, hai delle ottime stats e magari fai anche dei playoff incredibili ma alla fine non vinci niente, dici: ‘Sì, ok, però? Cosa mi rimane?’. Le ultime due stagioni, prima a Verona e quest’anno a Cremona, sono state incredibili. Alla Vanoli abbiamo vinto tutto quello che c’era da vincere, campionato, Supercoppa LNP e Coppa Italia Legadue. è stato un anno pieno di soddisfazioni, paragonabile solo alla parentesi con Treviglio.





Chiaro che la stagione appena conclusa come trofei sia difficilmente replicabile ma l’annata 2018/19 alla Blu Basket fu veramente magica. Partimmo malissimo, ma a 3 giornate dalla fine eravamo già certi di un posto ai playoff. Al primo turno di quella postseason incontrammo Verona. La serie fu talmente equilibrata che si arrivò a Gara 5. Io non stavo brillando in attacco, ma a 45 secondi dalla fine mi sbloccai con una tripla dall’angolo. L’azione dopo mi ripetei, ma questa volta con Saša Vujačić di fronte, a pochi istanti dalla sirena. Quando me lo sono trovato davanti non ho pensato a chi fosse o che cosa avesse vinto, ma che se in quel momento era sul parquet con me, voleva dire che era potenzialmente al mio livello e che quindi avrei potuto batterlo. Il nostro cammino nei playoff si interruppe solo in semifinale per mano di Treviso, squadra che avrebbe poi vinto il campionato.


Generalmente sono uno che accetta serenamente la sconfitta, ci sta, fa parte dello sport. Diventa una delusione quando sento che non sono riuscito a dare una mano per evitarla.


Questo l’ho imparato dal rugby, il mio primo amore sportivo. Io infatti nasco rugbista. Ci ho giocato dai 3 ai 10 anni: uno degli sport più belli del mondo, con una mentalità sana. In campo sono pronto a morire e ad “ammazzare” il mio avversario per vincere, ma al suono della sirena finisce tutto e amici come prima. 





Questo è il terzo tempo, il mio terzo tempo.


Per me è letteralmente così l’essenza dello sport. Un credo che ho voluto portare anche nella pallacanestro, così come il modo di approcciare la partita e l’agonismo che ne deriva. Senza mai dimenticare i valori che il rugby mi ha impartito: ‘Senza i tuoi compagni non vai da nessuna parte; hai bisogno di tutti, chi sta in mischia, chi corre, chi passa la palla, chi calcia, tutti. Non esiste vittoria senza un grande gruppo dietro. Le individualità possono farti vincere qualche partita, ma il gruppo ti fa alzare i trofei’.


Durante tutta la mia carriera, il rugby mi è sempre venuto in aiuto. Sapevo benissimo che avrei potuto trovarmi contro giocatori alti e grossi il doppio di me, ma se ero lì voleva dire che potevo starci anche io, senza alcun timore di dare o ricevere botte.


Questa è stata la mia salvezza.





Adesso sono cresciuto, ho 26 anni e forse non ho più quella sfrontatezza di un tempo. Percepisco meglio i vari momenti di una partita, quelli decisivi, e mi rendo conto che in un determinato frangente, la palla pesa molto di più. Questo l’ho imparato, come detto, grazie agli allenamenti. Tutte quelle ore passate a studiare il playmaking di Parker, il tiro di Curry e Thompson e le letture di Draymond Green…


Un lavoro volto a migliorare e non ad imitare.


Se non hai il talento di Curry, non ha senso stare lì a cercare di replicare le sue giocate. Lo stesso discorso vale anche per alcuni play europei che ho sempre ammirato come Sergio Rodriguez, Kōstas Sloukas e Milos Teodosić. Se tentassi di imitare un passaggio di quest’ultimo, il pallone finirebbe in tribuna e io diretto in panchina.


Questo sono io.


Un rugbista diventato cestista.


Un bambino che provava enorme gioia mentre correva sotto la pioggia, coperto di fango, con la palla ovale tra le mani; la stessa gioia che provo ancora oggi, dopo anni, ma adesso la palla è a spicchi e la meta un canestro ma a fine partita è sempre terzo tempo. Il mio terzo tempo.