a cura di Giordano Ravera

La Scaligera Verona vive il basket tra la passione della città e i format d’azienda.

La visione del marketing è strettamente legata al presente e al futuro della società di pallacanestro.

I grandi ritorni. Sono loro ad aver segnato la storia recente della Scaligera Verona. Non solo il grande ritorno nella massima serie, dopo 20 lunghi anni. Un obiettivo centrato nella scorsa stagione, dopo una cavalcata playoff tanto sorprendente quanto vibrante. Ma anche i grandi ritorni dei professionisti che compongono il club gialloblù. C’è chi, tanti anni fa, si è allontanato, ma solo per un breve periodo. C’è chi è stato richiamato quando le cose si sono fatte dure e serviva una guida carismatica. C’è chi alla Scaligera ha iniziato da giocatore e ora siede dietro la scrivania. La cosa che tutti hanno in comune? Sono tornati. Un po’ come se non se ne fossero mai andati. Noi li abbiamo intervistati e ci hanno fatto capire il DNA della Tezenis Verona.

 

Direttore operativo, marketing e commerciale. Un ruolo importante, certo, ma anche un’etichetta che non racconta fino in fondo ciò che rappresenta Andrea Sordelli per la Scaligera Verona. Una sorta di memoria storica della società, visto che ne fa parte da ben 36 anni. Una vita. Passata in gialloblù tra campo, panchina e scrivania. «Sono qui da quando avevo 6 o 7 anni. Ho fatto il minibasket, poi il settore giovanile, fino ai 17 anni. Erano i tempi della Serie A, delle coppe europee, quando c’erano Henry Williams, Mike Iuzzolino e Louis Bullock. Ci allenavamo prima di loro. Non era raro che, mentre facevano ball handling, chiamassero noi ragazzi per passar loro la palla. Ho vissuto tante partite storiche a bordocampo, con lo spazzolone per pulire il parquet. Guardavo questi giganti come degli eroi. Poi sono passato in un’altra società, ma dopo nemmeno un anno sono subito tornato. Non faceva per me, sentivo la differenza, mi mancava la serietà che si respirava qui. Il mio primo allenatore, Alessandro Giuliani, nel frattempo era diventato il responsabile del settore giovanile. Mi fece fare i corsi: lì è iniziata la mia avventura in panchina. A 18/19 anni guidavo la squadra dei ragazzi di 13. In quel momento mi sono innamorato di questa parte del mondo Scaligera. Ho preso tutti i patentini, anche quello di A. Negli anni sono diventato responsabile del settore giovanile, quindi vice in prima squadra, fino al 2007 quando vincemmo la B con Pippo Farina come capo allenatore.

 

Non vedevo l’ora di fare la A dilettanti quando il GM Andrea Fadini, con la sua schiettezza, mi disse: ‘Abbiamo più bisogno di te dietro la scrivania che in panchina’. Ci rimasi male, soffrivo perché mi piaceva stare in campo, ma con il senno di poi mi si è aperto un mondo. In quegli anni, mi sono laureato in legge ma non mi piaceva, allora ho deciso di fare un master in giustizia sportiva a Milano. Era la mia direzione. Iniziai come segretario generale, mi occupavo un po’ di tutto. Dopo il fallimento della società, dal 2002 al 2009, cambiarono tanti dirigenti, c’era voglia di tornare a fare le cose in grande ma mancava tutto. La chiave fu quella di capitalizzare al massimo ciò che si aveva a disposizione e creare in casa i nuovi dirigenti. Ero nel momento giusto al posto giusto. Negli ultimi 7/8 anni la società è cresciuta molto, è nato uno staff marketing/commerciale di persone affidabili e preparate. Per fortuna, il nostro presidente è il nostro primo commerciale, ha grandissima credibilità e gli basta alzare il telefono per coprire gran parte del nostro budget, ma con l’obiettivo di tornare in A, non potevamo basarci solamente su di lui, dovevamo crescere a livello di sponsor e di aziende coinvolte. La Serie A2 andava stretta a tutti. Alla città, alla proprietà, ai tifosi. Non sono stati anni facili, vincere il campionato non è semplice. L’anno scorso non avevamo dichiarato che il nostro obiettivo fosse la promozione, c’era un progetto di crescita, basato sul ritorno di coach Ramagli e su un gruppo giovane di giocatori. Non c’era fretta, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Lo sport è bello anche per questo».

 

 

 

 

Sport che nella città di Verona ha trovato il modo di evolversi in diverse direzioni. Una situazione che, quando ti occupi di marketing sportivo, ti costringe a contemplare terreni inesplorati. «Non siamo una metropoli, ma la nostra è una realtà unica in Italia, abbiamo tantissime realtà sportive di alto livello. Ovviamente l’Hellas, gira tutto intorno a lei. Per tanti anni c’è stato anche il Chievo. Eravamo una delle poche città ad avere due squadre in Serie A. Rimanendo sul calcio, ci sono state anche due squadre di femminile in A. Poi il Verona Volley è stabilmente in massima serie e ha vinto anche in Europa. La squadra di rugby può contare su un centro sportivo megagalattico, che ha sfruttato anche la nazionale. In Serie A ci sono anche il team di baseball e i Mastini del football americano. Siamo tante e non è semplice con gli sponsor. Abbiamo quindi deciso di differenziarci dagli altri, di fare qualcosa di diverso. Nel 2023 alle aziende non basta il logo sulla maglia o sui tabelloni. Se punti solo sulla visibilità hai perso. Il basket può invece diventare il messo per allargare il tuo business con altre aziende.

 

Da 11 anni portiamo avanti l’iniziativa ‘Partner fuori dal campo’. Un calendario di appuntamenti, uno ogni tre mesi, ognuno diverso dagli altri. Non credo nelle cene, sono troppo statiche, con le aziende sedute a diversi tavoli diventa complicato per loro generare del business. Abbiamo quindi ideato diversi format. Nel primo ogni azienda sale su un palco, ha qualche minuto per presentarsi, poi c’è un aperitivo. Un’opportunità per le aziende di conoscersi e prendere appuntamenti. Tre mesi dopo c’è il secondo. Quest’anno abbiamo coinvolto un formatore e il nostro coach, Alessandro Ramagli, che vanta ottime doti oratorie. Hanno parlato di team building, della gestione delle vittorie e delle sconfitte. C’è stata grande interazione con il pubblico. Il terzo, il prossimo, è l’appuntamento clou, quello più atteso. È come una mini fiera, ogni azienda ha il suo desk e ci dice quali altre realtà vuole incontrare. Noi organizziamo un’agenda di lavoro, è come se fosse uno speed date ma per fare business. Infine, l’ultimo, la partita tra gli sponsor. Speriamo di tornare a organizzarla quest’anno perché con il Covid non ci siamo più riusciti. È un momento che avvicina davvero molto. Chi gioca si è già incontrato tre volte nel corso dell’anno e basta un brutto passaggio o una battuta sul parquet per creare nuove sinergie. Tutto questo richiede un impegno pari a quello necessario per la parte sportiva, ma negli ultimi tempi è un crescendo continuo di soddisfazioni. Le aziende parlano bene di noi, un paio di queste hanno voluto firmare il rinnovo di sponsorizzazione senza nemmeno che glielo avessimo proposto. Ce ne sono delle altre, nuove, che ci hanno mandato una mail per investire su di noi. È una fortuna. Ora possiamo dire che la Scaligera è un prodotto interessante».

 

«Essere in Serie A1 è come stare in un luna park per noi. Citando lo slogan di LBA, non è solamente ‘Tutto Un Altro Sport’, ma anche tutto un altro mondo. Hai una visibilità che ti permette di sbizzarrirti, creare nuove iniziative, raccogli più adesioni. A livello di pubblico, al palazzetto non scendiamo mai sotto le 4mila persone. La categoria aiuta e le avversarie anche, quando giochi contro squadre come la Virtus o l’Olimpia è tutta un’altra cosa. La cosa più bella è che vengono a vedere le partite non solo da Verona, ma anche da Vicenza, con i pullman. I playoff dello scorso anno sono stati pazzeschi, hanno funzionato da traino e siamo riusciti a coinvolgere anche i tifosi del calcio, l’Hellas aveva già finito la sua stagione. Stiamo continuando a cavalcare quell’onda, con un lavoro capillare volto a portare al palazzetto bambini e famiglie. Per nostra fortuna, oltre al calcio, la città respira il basket».

 

 

Arrivati fin qui, con la voglia di crescere ancora: «Il mantenimento della categoria cambia tutti gli scenari, ma la nostra idea è quella di cercare di consolidarci, dare continuità al grande affetto che ci dimostra sempre il nostro pubblico e creare un ambiente, al palazzetto, sempre più rivolto all’entertainment. Negli anni ho visitato tantissimi campi in Europa: Berlino, Atene, Valencia e non solo. Sempre con lo stesso approccio, contattavo il club chiedendo: ‘Fatemi vedere come lavorate’. Se non guardi fuori, fai fatica ad avere nuovi spunti. Poi è ovvio che se vai a Barcellona, al Pala Blaugrana, ti confronti con una realtà immensa e devi capire cosa puoi e cosa non puoi tradurre, riproporre a casa tua. Successivamente ho guardato sempre con grande attenzione cosa succedeva in USA. Durante un convegno a Bologna, ho conosciuto Chris D’Orso, vicepresidente delle vendite dei Magic. Questo mi ha permesso di organizzare un camp per tre anni di fila a Miami e Orlando. I Magic mi hanno trattato benissimo, sono stato loro ospite in tre diverse occasioni e mi hanno fatto vedere tutto, nel dettaglio come organizzano il loro lavoro. Il mio sogno è quello di riproporre tante piccole cose per aumentare la partecipazione del nostro pubblico. Quest’anno abbiamo creato un’app per ordinare le bevande direttamente dal proprio posto, come negli USA. Non è facile far abituare le persone alle novità, anche culturalmente, in Italia la gente è abituata ad andare al bar anche per fare due chiacchiere, non le importa se si perde un paio di azioni. Devi sempre capire se insistere o meno con le nuove attività. Abbiamo una nuova iniziativa che inizierà tra poco. Alle partite daremo un QR code ai nostri tifosi, questo codice li porterà a una web app dove potranno partecipare ad alcuni quiz e giochi. In base ai risultati, riceveranno un coupon da sfruttare immediatamente per comprare dei popcorn, una bibita o da sfruttare per avere sconti al merchandising o in biglietteria. In Italia c’è molta attenzione al risultato sportivo, spesso fai fatica, ma noi facciamo del nostro meglio. In Serie A2 abbiamo portato i ragazzi sloveni che saltano sui tappeti elastici».

 

Un impegno che ha portato frutti, fin qui: «Le maggiori soddisfazioni arrivano quando non ci sono grandi risultati sportivi. Un esempio sono i sold out in Serie A2, fatti registrare quando la squadra andava male. Negli ultimi anni abbiamo avuto più cadute che momenti di gioia, ma vedere i bambini al palazzetto che guardano i giocatori con gli stessi occhi con cui, da giovane, guardavo i miei eroi degli Anni ’90, è il maggior successo che potessi sognare». Per capire meglio tutti i protagonisti in causa, proseguiamo il nostro viaggio a Verona.