Sono momenti di celebrazione. Alcuni protagonisti hanno già vissuto quella emozione, ma ognuno di loro ha la sua storia che la rende più speciale. Per altri è la prima volta, l’indimenticabile sensazione di essere sul tetto del mondo. E anche tra loro, ognuno ha la sua storia. È la celebrazione di un collettivo che assapora quel potere dinastico forte del passato ma consapevole che il successo presente potrà essere preludio di altri capitoli. È lo Strength in Numbers, la cultura dei Golden State Warriors, unica nel riuscire a mettere dentro la cornice ogni pezzo del puzzle che ha contribuito a quel finale. Ma questa volta è diverso. Una persona in particolare polarizza l’attenzione su di sé, quando non riesce nemmeno ad attendere la sirena prima di scoppiare in un pianto liberatorio.
Non si è mai visto Stephen Curry così emotivamente esposto. Non dopo le precedenti finali dove è uscito da vincitore o vinto, non dopo il premio di MVP o il successivo, il primo all’unanimità nella storia NBA. Soltanto la magnitudo generata dall’aver battuto il record All-Time di canestri da tre punti segnati in carriera lo ha destabilizzato e scosso. Quel 15 dicembre 2021 quasi voleva accelerare il più possibile l’arrivo di quel momento. Poi, ha fermato il mondo e lui con esso, lasciandosi travolgere dalla portata generale dell’evento.
Queste NBA Finals hanno un significato che si distacca dalle precedenti, e Stephen Curry lo sa. Quelle lacrime le porta sino all’intervista post-partita. “Poter giocare a questo livello è ciò che tutti vogliamo raggiungere. Dopo quello che abbiamo passato nelle ultime tre stagioni, nessuno pensava che potessimo arrivare sin qui, a eccezione di ogni persona su questo campo. È davvero surreale”. Tiene sottobraccio il pallone della partita e il pubblico riconoscimento di aver compiuto qualcosa di magnifico.
Records broken.
Trophies won.What an iconic season for @StephenCurry30 ⚡️ pic.twitter.com/x4tyWbAPrL
— Golden State Warriors (@warriors) June 22, 2022
La tappa più bella del viaggio di Stephen Curry
A 34 anni, Stephen Curry ha raggiunto il prime, l’apice individuale più alto nella sua carriera. Le NBA Finals sono state la massima espressione di un repertorio tecnico, atletico e mentale che non ha precedenti nelle corse al titolo passate. Un’età dove in pochi riescono a imporre il proprio gioco sui due lati del campo e terrificare le difese avversarie. Perché quando si tratta di performance, ogni atleta può soffrire negativamente l’effetto del tempo e della pressione, persino qualcuno con una straordinaria carriera come Stephen Curry. Entrambi potevano guidare a errori: il tempo che avanza e la pressione di non sapere quando un’altra opportunità sul palcoscenico più prestigioso sarebbe capitata. Al contrario, hanno rappresentato energia, volontà di provare di nuovo quella sensazione e farlo da miglior attore, quando pronostici e attese diventano un ulteriore avversario da battere.
A quell’età, LeBron James raggiungeva l’ottava finale NBA consecutiva (2017/18) in quello che forse fu l’anno più leggendario nella sua carriera. Giocò ognuna delle 82 partite di stagione regolare (unica volta in carriera), chiudendo con medie di 27.5 punti, 8.6 rimbalzi e 9.1 assist. I Playoff furono ancor più spaventosi (34.0 punti, 9.0 rimbalzi e 9.1 assist), letteralmente trascinando una squadra sino alle NBA Finals: la più grande testimonianza del suo potere.
Stephen Curry ha personificato questo genere di dominio che si è materializzato nella vittoria del titolo NBA 2022. Ha demoralizzato la miglior difesa nella lega con un pacchetto offensivo più completo che mai. Quanto visto in campo è il risultato di tanto lavoro dietro le quinte, quando i Warriors erano spettatori dopo l’eliminazione al Play-In contro i Memphis Grizzlies. “1 anno e 6 giorni di lavoro, e ogni secondo è stato ripagato”, Stephen Curry li ha contati e vedere quella emozione assume nuovo significato.
"What are they gon say now" -Stephen Curry
Celebration Time #NBA75 🏆🍾 pic.twitter.com/Tg5Adi73tz
— NBA (@NBA) June 17, 2022
Il nuovo concetto di longevità
Non è più centrale restare a lungo nel gioco, ma restarci a lungo in maniera competitiva. Questo richiede la ricerca di costante sfida con sé stessi, non accontentarsi di quanto prezioso già si possiede ed espandere la conoscenza del proprio corpo e del gioco. In una traiettoria di carriera, devi prima rafforzare il tuo status e donare la narrativa di tratti di gioco unici e costanti. Per Stephen Curry è stato, sin dagli albori, il tiro da tre punti. Una corsa infinita a ricercare la perfezione, che lo ha portato a ingegnerizzare il suo workout. Nella offseason precedente all’ultima stagione, il suo regime di lavoro ha raggiunto un ulteriore livello di maniacalità.
Come raccontato da Brandon Payne, il suo trainer, segnare tiri non era più sufficiente. Con il supporto della tecnologia, ogni tiro di Curry veniva tracciato attraverso dei sensori che misurassero il movimento del pallone, il suo arco in aria e la precisione nell’entrata dentro il ferro. Se il pallone non finiva perfettamente nel centro del cilindro, il tiro veniva considerato sbagliato, sia per i tiri dalla ricezione che dal palleggio. “Era una costante sfida mentale nel cercare di essere più perfetto possibile. Abbiamo creato una situazione tipica di una gara dove la pressione ti impone di essere costantemente concentrato”. Da giugno a settembre, Stephen Curry si è allenato con Brandon Payne per cinque giorni a settimana con sessioni di tre ore. Questo è solo il primo fattore che ha reso i suoi playoff così irraggiungibili.
Inoltre, dopo il periodo di assenza dai playoff, Stephen Curry è tornato in una versione incredibilmente trasformata dal punto di vista fisico. Questo aspetto è diventato il vero game-changer, in quanto ha aperto un mondo di soluzioni e ampliato il gioco sui due lati del campo. Uno sblocco superlativo per una compostezza emotiva da vero leader trascinante.
Ridefinire in grande la narrativa
Inizialmente, parlare di forza fisica quando si descrive Stephen Curry era inusuale. Con pazienza ha raggiunto il punto più alto, rinforzando il suo corpo in maniera tale da garantire uno sforzo totale sui due lati del campo. Eloquente di quanto fuoco energico avesse dentro per riprendersi ciò che non era così scontato potesse tornare tra le sue mani. Lo sviluppo di un superiore livello di prestanza fisica arriva in momenti diversi per ogni atleta. Steph ci è arrivato ora, e come detto, l’obiettivo primario è concentrarsi dettagliatamente sul breve termine per assicurare longevità al proprio corpo.
Prima del risultato finale, c’è una quantità di lavoro incredibile che richiede la creazione di ogni tiro. Per il suo stile di gioco, Stephen Curry è in costante movimento e sotto osservazione di multipli difensori avversari. La mole di contatti a cui deve resistere nella maggior parte dei possessi offensivi è esponenziale. Dalle uscite dai blocchi, alle penetrazioni a canestro sino a quando le difese collassano su lui per ostruirgli la visione. Nei Playoff, tutto ciò si alimenta particolarmente, perché la ricerca di mismatch che lo coinvolgano ripetutamente intende forzare un dispendio di energie che poi possa alterare il suo attacco, dove già riceve una imponente dose di attenzione.
Il modo più diretto e sicuro per rispondere a tutto ciò è fornirsi di un corpo in grado di ribattere ogni colpo. Sin dall’inizio dei Playoff, Stephen Curry si è presentato con un livello di forma talmente incredibile che ha vanificato ogni sforzo delle difese affrontate. Pur incontrando difficoltà, la risposta più decisiva è stata la consapevolezza nei propri mezzi. Questa metamorfosi ha dato origine ad alcune delle prestazioni più straordinarie nella sua carriera. Le NBA Finals 2022 sono il teatro che ha riassunto al meglio tutto questo, dal punto di vista tecnico, fisico ed emotivo. Un traguardo che impatta in maniera significativa e unica la legacy di Stephen Curry.
🏆's are forever. pic.twitter.com/X1qgCRPhyL
— Golden State Warriors (@warriors) June 17, 2022
Stephen Curry ha un dominio tutto suo
L’aggettivo dominante è spesso legato al concetto di forza fisica. Quando si inserisce questa etichetta in una conversazione, l’immaginario vira su Michael Jordan, Shaquille O’Neal, LeBron James e Giannis Antetokounmpo, superstar in grado di imporre il proprio corpo sugli avversari, talvolta anche in maniera dirompente. Raramente Stephen Curry è stato definito dominante. La personale lotta contro chi faticava a descriverlo come giocatore meritevole di entrare nel discorso All-Time ha visto la prima vittoria quando ha abbattuto lo stereotipo sui tiratori, quando si pensava che non fosse in grado di guidare una squadra al titolo. Con questa nuova ricchezza di muscoli e forza, Stephen Curry non è più soltanto il miglior tiratore nella storia del gioco, è ben più altro, ed è dominante.
Si tratta di un nuovo senso di dominio, di cui in qualche modo è pioniere e con cui si impone sugli avversari. In questi Playoff, e più nettamente alle Finals, quando è in campo decade il concetto di buona difesa. Il dominio di Curry non ha limiti di spazio, diventa una minaccia non appena supera la propria metà campo. Non perde di pericolosità quando il pallone non è nelle sue mani, ma in maniera magica ne acquisisce di più. Si tratta di un tipo di supremazia tecnica che non ha un numero tale di casi pregressi da poter inserire un secondo metro di paragone quando si parla di questo dominio, ed è ciò che rende Stephen Curry unico.
Con il raggiungimento delle NBA Finals, è diventato l’ottavo giocatore nella storia con almeno sei apparizioni e multipli premi di MVP in carriera dopo Bill Russell, Wilt Chamberlain, Kareem Abdul-Jabbar, Magic Johnson, Michael Jordan, Tim Duncan e LeBron James. Ad attenderlo, i Boston Celtics, la miglior difesa per efficienza in regular season, e la seconda nei primi tre turni di Playoff. Un sistema in grado di mettere la sua impronta più fisica per limitare Stephen Curry, con taglia e profondità per assegnarli diversi marcatori e cercare di alterare il suo attacco. Ma alla fine, è stato lui a marchiare la difesa numero uno nella lega con il suo bagaglio offensivo .
Full focus: le NBA Finals 2022 di Stephen Curry
Una delle chiavi per il successo delle superstar NBA è fondere volume di tiri ed efficienza. In un’edizione in cui i Golden State Warriors non sono mai dipesi così ampiamente dal rendimento di Stephen Curry, la selezione di tiri doveva essere accurata. Per un giocatore la cui maggior parte dei tiri arriva dopo un costante movimento, un alto numero di palleggi, tendenzialmente dall’arco dei tre punti e contestati, l’efficienza non è sempre raggiungibile. Negli interi Playoff, Stephen Curry ha registrato 1.37 punti per tiro tentato (620 punti su 440 FGA), un dato che assume una rilevanza notevole quando rapportato al volume totale e ad altre superstar. Come mostra il grafico, soltanto 3 giocatori hanno avuto più efficacia, ma il giocatore dei Warriors ha tentato il secondo numero più alto di tiri dal campo in postseason.
Vari fattori influenzano questo, dalla difesa avversaria sino a come il cast di giocatori attorno possa agevolare la creazione di tiri ad alta percentuale. Nel corso dei Playoff sino alle Finals, Stephen Curry non ha sempre avuto una costante seconda opzione offensiva al suo fianco. In ogni serie è stato il miglior marcatore della squadra con un ampio margine, che ha raggiunto l’apice contro i Boston Celtics, quando i suoi 31.2 punti di media sono stati +12.9 rispetto a Klay Thompson, secondo tra le fila dei Golden State Warriors.
Il primo elemento che contraddistingue l’ultima cavalcata di Stephen Curry alle NBA Finals è la consapevolezza di ciò che succede in campo, che permette di leggere le vulnerabilità della difesa con quel determinante anticipo per creare vantaggio. Spesso è stata una sfida nel dettaglio, in cui il giocatore dei Golden State Warriors è arrivato prima. A questo si uniscono pericolosità e versatilità mai viste prima. Curry è riuscito a bilanciare l’aumento di forza muscolare pur mantenendo l’ottimo movimento di piedi e flessibilità nella parte superiore del corpo per assorbire i contatti vicino a canestro. La chiave è sempre il sublime ball-handling che porta a trovare la migliore zona di campo per concludere.
Sei episodi di una serie eroica
Stephen Curry ha rappresentato l’attacco dei Golden State Warriors alle NBA Finals in maniera netta. Il dato dell’efficienza offensiva di squadra perdeva 27.2 punti su 100 possessi quando lui non era in campo (115.8 punti on court, 88.6 off court). La sua innata capacità di creare dal palleggio un’ampia varietà di opzioni per sé e per i compagni è la più grande ragione per cui hanno vinto la serie contro i Boston Celtics. Pur subendo una difesa costante da giocatori come Marcus Smart e Derrick White, ottimi nell’uno contro uno e con taglia superiore a quella di Stephen Curry, non ha mai perso di vista l’obiettivo. Ogni episodio della serie ha fatto emergere dibattiti su quanto ancora fosse in grado di fare se non maggiormente supportato, in particolare dopo Gara 1.
Poi, dal trovarsi sotto 2-1 in trasferta, i Golden State Warriors sono apparsi quasi in una comfort zone mentale che ha tirato fuori il meglio da ognuno, e Stephen Curry è diventato infermabile. Gara 4 e Gara 6 sono state la quarta e quinta prestazione più efficiente per True Shooting Percentage realizzata da una guardia nella storia delle NBA Finals (minimo 30 punti, 20 FGA e 2 canestri da 3P). Ma è l’episodio di intermezzo a racchiudere meglio di ogni altro la sua massima evoluzione. Al netto del 31.8% FG e della prima gara di postseason dopo 233 consecutive senza un canestro da tre punti realizzato, Stephen Curry è risultato decisivo con giocate in area, letture per i compagni e la difesa.
Stephen Curry non è mai stato difeso così
I Boston Celtics hanno cercato di massimizzare in ogni possesso il livello di sforzo richiesto anche solo per ricevere il pallone, e successivamente per alterare l’efficacia al tiro. Stephen Curry è stato marcato faccia a faccia e con il fiato sul collo da difensori che non erano interessati a ciò che stesse succedendo attorno o alla distanza dal canestro. In queste clip, il focus è sull’attenzione a lui riservata: in Gara 2, Grant Williams lo ha seguito sino a metà campo, Smart ha cercato persino di ridurgli lo spazio visivo per tenerlo lontano dalla palla. In queste situazioni è emerso quell’aiuto dai compagni risultato fondamentale, in particolare nelle ultime tre sfide (Gara 4-5-6) e da parte di Klay Thompson e Andrew Wiggins. Il primo ha registrato la stessa media punti (17.0) ma migliorando l’efficacia al tiro (da 34% FG e 32.1% 3P a 37.3% FG e 37.9% 3P). Mentre Wiggins ha mantenuto la stessa capacità realizzativa pur aumentando il volume di tiri (da 14.3 a 19.3 FGA), passando da 16.3 punti e 6.0 rimbalzi a 20.3 punti e 11.7 rimbalzi.
Quando invece Stephen Curry è in grado di muoversi per il campo, pur mostrando un apparente disinteresse dall’azione, attira più occhi su di sé. A questo proposito, nel corso delle NBA Finals, JJ Redick utilizzò la metafora del sole per definire Stephen Curry come centro gravitazionale per compagni e avversari. Giocare off the ball diventa così una minaccia, e non sono venuti meno possessi in cui questo è emerso. Solo guardare il perenne movimento, rende l’idea di come Stephen Curry possa realmente rappresentare l’attacco di squadra senza avere il pallone nelle mani.
Differenti letture, timing e creazione
La prima fonte da cui Stephen Curry ricava la maggior parte della produzione offensiva è in situazioni di pick-and-roll in cui da portatore di palla cerca di ricavare il mismatch favorevole. I Boston Celtics hanno spesso fatto ricorso a situazioni di drop che prediligono la copertura dell’area. L’obiettivo dei Warriors era portare i lunghi avversari lontani da canestro, specialmente Robert Williams III. Quando è lui a dover uscire alto, settare i piedi all’arco dei tre punti non è più sufficiente: se Stephen Curry esce dal blocco ed è in grado di vedere il canestro, difensivamente devi sperare che sia lui a sbagliare il tiro.
Inoltre, una situazione ben sfruttata è stata quella del doppio blocco in rapida successione per limitare l’efficacia dei Boston Celtics come ‘switching team’. Se il cambio avviene su entrambi, Curry mantiene vivo il palleggio sino a raggiungere lo spazio desiderato. Al contrario, cercare di aggirare due blocchi consecutivamente è ancor più difficile, come tentato da Marcus Smart, perché Curry li aggira in maniera così stretta da ridurre lo spazio per passare dietro, ottenendo quel minimo vantaggio necessario. Ai Playoff, Stephen Curry ha tirato 59/144 in pull-up da tre punti (41.0%). Soltanto altri tre giocatori sono andati oltre il 40% (minimo 15 tentativi): Desmond Bane (53.3%, 30 3PA), Ja Morant (41.2%, 34 3PA) e Jaylen Brown (43.2%, 44 3PA).
Al fine di mettere pressione su Stephen Curry con differenti atteggiamenti difensivi, i Boston Celtics hanno anche cercato di fare uscite alte con il marcatore del bloccante per forzare palloni persi. Questo è uno degli aspetti dove si è assistito al più rilevante miglioramento, ossia la lettura della difesa e la ricerca di linee di passaggio che spezzano il raddoppio. Quando ciò accade, si apre un mondo per l’attacco dei Golden State Warriors, potendo sfruttare superiorità numerica per creare tiri aperti da tre punti o vicino a canestro. Tra giocatori che hanno giocato almeno 4.0 possessi in pick-and-roll a partita in minimo due turni di Playoff, Stephen Curry ha registrato la terza % di palloni persi più bassa (12.2) dietro a Jimmy Butler e Jalen Brunson.
Stephen Curry innamorato di andare al ferro
L’evoluzione verso la grandezza non conosce fine. Stephen Curry, oltre che essere il più grande tiratore nella storia del gioco, ha trasformato sé stesso in una delle migliori guardie a finire al ferro. La proiezione riguardo l’affidamento a tiri proveniente dal pitturato è andata in crescita con il passare delle stagioni in cui ha raggiunto le NBA Finals. Il 25.2% dei tiri tentati dal campo arrivano in area, un’incidenza che prima del 2021/22 non era andata oltre il 10.9% (2014/15 e 2017/18). Come mostrato dalle mappe relative a quattro edizioni in cui ha raggiunto le Finals, la zona vicino a canestro non è mai stata così ampia. Qui Stephen Curry ha lasciato un segno profondo, nell’ennesimo aspetto di gioco su cui ha lavorato tanto, incredibilmente beneficiato dall’acquisita fisicità e forza che agevolano la resistenza e l’efficacia.
Le 12.5 penetrazioni a partita registrate in questi Playoff sono il dato più alto in carriera, il 54.7% FG (che diventa 58.5% FG considerando soltanto i lay up) il secondo miglior dato dietro il 2016/17, quando però erano 8.6 di media e con ben 68 tentativi totali in meno. La percentuale realizzativa è stata la sesta più alta tra i 22 giocatori con almeno 100 entrate a canestro. Nella serie contro i Boston Celtics, da una singola tipologia di azione sono nate varie opzioni offensive. I tiri in area sono tra i più dispendiosi e si deve battere più di un difensore quando i protettori del ferro sono presenti. Senza forza fisica, agilità e primo passo che possiede ora Stephen Curry, tutto questo non sarebbe possibile. Unito alla capacità di assorbire il contatto, mantenere vivo il palleggio e la rapidità in cui con poco spazio si arresta e riparte in penetrazione. Inoltre, legge il lato scoperto della difesa avversaria e anticipa il rilascio prima dell’arrivo del lungo. Ancor più considerevole è l’uso della mano debole e l’equilibrio nel restare in aria, riuscendo a gravitare allontanandosi dal canestro per proteggersi dal tentativo di stoppata.
Altre due fonti di attacco sono la creazione per i compagni e il riposizionamento per il tiro da tre punti. Quest’ultimo è un’arma che Stephen Curry ha fatto sempre più sua nel corso della carriera e che lo ha reso ancor più difficile da marcare. Dopo lo sforzo per superare una linea difensiva con uno o più aiuti in arrivo, la corsa è continua verso quello spazio libero dove necessita soltanto di sistemare i piedi per rilasciare il tiro. In entrambe le situazioni mostrate, sia Grant Williams che Payton Pritchard hanno quell’attimo di rallentamento dopo aver inseguito Stephen Curry, che invece tiene alto il ritmo e batte sul tempo l’avversario. Quanto alla creazione per i compagni, negli interi Playoff ha registrato un rapporto AST/TO di 2.08 (25 AST, 12 TO), il terzo più alto tra giocatori con almeno 100 penetrazioni totali. Stephen Curry è parso in costante controllo, leggendo in anticipo ciò che accade intorno a lui: la difesa collassa a volte con due uomini oltre il diretto marcatore, non forza un tiro ma cerca sempre il compagno in visione.
La versatilità offensiva di Stephen Curry
Come anticipatamente mostrato dalla shotchart, Stephen Curry è stato efficace da ogni zona di campo, incluso il midrange (31/61 FG, 50.8%). Un’area non spesso da lui ricercata, ma che rappresenta un espediente molto utile quando il difensore è in grado di tenere i palleggi in avvicinamento al ferro. Qui entra in gioco la capacità di Stephen Curry di fondere footwork, equilibrio e ball-handling per fermarsi in pochissimo spazio e tempo per ottenere perfetta separazione. Questi tiri sono stati produttivi quando Robert Williams III ha accettato il cambio oltre l’arco, dove portarlo sino al ferro può essere un rischio e il suo wingspan può alterare la visione del canestro. Per Curry diventa questione di pazienza per trovare il punto di rilascio.
Stephen Curry ha sempre mantenuto vive le vecchie abitudini che lo hanno reso celebre, come la creazione del tiro dal palleggio. Ai Playoff, ha registrato il 39.7% da tre punti (23/58) quando il tiro è stato marcato stretto, e un impressionante 48.9% (22/45) quando è stato rilasciato dopo 3-6 palleggi. Una delle situazioni da cui i Golden State Warriors hanno maggiormente lucrato è la transizione veloce dopo una buona difesa.
In Gara 6 delle NBA Finals, in due possessi consecutivi, Stephen Curry ha dimostrato in maniera lampante come ora quel palleggio sia davvero la chiave che gli può aprire a ogni soluzione offensiva. Il tiro da tre punti e la penetrazione a canestro sono minacce ugualmente pericolose, e talvolta per la difesa dei Celtics rimaneva soltanto scegliere quale colpo subire. In entrambe le clip, Derrick White e Payton Pritchard fanno ice sul pick-and-roll per evitare che Stephen Curry possa punire il drop con il tiro da tre punti, mostrandogli il pronto aiuto dal difensore del bloccante. Non è mai stato così letale, prima si riposiziona dietro l’arco e con una finta annulla la marcatura, poi accetta il cambio e lo batte con il palleggio sino al ferro.
Infine, in numerose occasioni Stephen Curry ha messo in mostra tutta la sua forza fisica, resilienza e tecnica nel finire contro difensori di ogni taglia. La quantità di lavoro che hanno richiesto certi canestri è enorme, ma non ha mai mostrato segni di stanchezza. Spesso, focalizzarsi su ciò che Stephen Curry compie prima di ricevere e mentre va a concludere è emblematico di ciò che ha raggiunto. In un gioco che si fonda su continuo utilizzo di blocchi da aggirare, protezione del pitturato e aiuti sistematici, la forza nella parte superiore del corpo è indispensabile per proteggersi. Ma aggiungere anche il tocco tecnico per concludere dopo quelle uscite rende tutto più grande. Il tiro più emblematico è quello contro Jaylen Brown in Gara 1, per equilibrio nel mantenersi saldo a terra e non franare sull’avversario. Lì, sentendo la pressione verso sinistra, rimane in posizione per cambiare direzione con un palleggio dietro la schiena verso destra e andare a concludere con un lay up.
La difesa è un fattore fondamentale
Nella storia recente, si è assistito a campioni che hanno determinato il successo di squadra con giocate e leadership sia in attacco che in difesa. Giocatori come LeBron James, Giannis Antetokounmpo e Kawhi Leonard. Dopo le NBA Finals 2022, Stephen Curry va inserito in questa categoria. Questo non significa che dovrà essere ricordato come un grande difensore, ma testimonia come dal riconoscimento di una sua debolezza abbia poi lavorato con impegno e sacrificio per migliorarla. Costantemente cercato come matchup favorevole, è stato battuto tante volte, spesso ha dovuto combattere con problemi di falli. Ma il suo spirito competitivo non lo ha mai rallentato, buttato giù o diminuito la fiducia nei propri mezzi, ha sempre accettato la prossima sfida. Stephen Curry ha messo in campo uno grado di applicazione talmente vasto che questo rende ancor più leggendario ciò che è riuscito a fare in attacco.
Dal suo contributo sono partite transizioni rapide che hanno portato a punti facili, provenienti da palloni rubati, rimbalzi e scivolamenti da lui prodotti. A volte è stato anche soltanto per intelligenza e capacità comunicative nel guidare i compagni. Nella clip di Gara 5, da protagonista passivo decreta il successo di squadra: resta vigile sul lato debole, indica a Draymond Green di essere pronto per l’aiuto su Tatum vicino a canestro. Quando poi il tiro è in aria, mette il corpo davanti a Robert Williams III per il tagliafuori. Così, Green può aprire la transizione che porta a due punti immediati.
Esperienza e forza sono gli ingredienti che hanno portato la difesa di Stephen Curry a un nuovo livello. Ora, raramente viene battuto sul primo palleggio, ma è in grado di tenere fisicamente fin quando non arriva l’aiuto di un compagno. Quello che può sembrare un requisito minimo per valutare la prestanza di un difensore, per lui è stata la più grande vittoria. In questo modo, dal lavoro per ridurre i possessi in cui viene battuto è aumentata la fiducia dei compagni nei suoi confronti. Nella serie, ha marcato ogni giocatore, da Marcus Smart, a Jayson Tatum e Jaylen Brown sino ad Al Horford. Ha sempre sacrificato il proprio corpo, aggirato blocchi, contestato conclusioni a canestro, intercettato linee di passaggio e mostrato prontezza quando il pallone veniva scoperto. Stephen Curry ha convertito la difesa da oggetto di critiche a ulteriore motivo per scolpire il suo status.
Grandi e piccoli dettagli
Quando si è trattato di attimi, dettagli, Stephen Curry è arrivato per primo, contro un’eccellente difesa. In questo caso, la continua esposizione a difese su di lui incentrate lo ha messo nelle condizioni di anticipare mosse che, per qualità di esecuzione, metterebbero in difficoltà tanti altri giocatori. Un esempio arriva da Gara 1, quando il lavoro dei Boston Celtics è ottimo per negare l’uscita dai blocchi dei tiratori dei Golden State Warriors. Il primo possesso termina con un tiro senza ritmo di Andrew Wiggins. Mentre successivamente, Stephen Curry riconosce l’area libera vicina a canestro lasciata per questo atteggiamento prudente degli avversari per vietare il suo gioco.
Il secondo caso proviene da uno schema che i Golden State Warriors eseguono da anni. Il post basso è ricercato per sfruttare il blocco sul lato per l’uscita di Stephen Curry. Nel primo possesso (Gara 4), Robert Williams III resta in drop, Derrick White aggira molto bene il lungo ma quello spazio limitato è sufficiente per far partire il tiro. Mentre in Gara 5, i Celtics mandano due giocatori sul pallone. Stephen Curry, anche memore della serata non efficace al tiro, serve lo split di Andrew Wiggins dopo il blocco e vola fino al ferro.
Sono due dei tiri più celebri e importanti nella serie di Stephen Curry a far intendere perfettamente che in determinate situazioni, la sfida si è giocata su decimi di secondo. La prima arriva da Gara 4, il canestro che chiude i giochi. Ennesima transizione veloce guidata da Draymond Green. Si assiste a un preciso istante in cui Stephen Curry, con un solo difensore addosso, indica al compagno il lato sinistro del campo, come a dettare un gioco. Derrick White è pronto ad andare in quella direzione, ma Curry è fulmineo nel cambio di direzione verso destra, nell’arrestarsi e punire il leggerissimo ritardo avversario. Oltre a questo, nell’ultimo atto della serie, l’origine dell’azione è simile. Anche qui, Marcus Smart è colpevole di voltarsi alle spalle e perdere il contatto fisico e visivo con Stephen Curry. Ancor prima che Draymond Green riceva, è già in movimento, il gioco sul blocco è fin troppo semplice, non serve più di un palleggio. Marcus Smart cerca in ogni modo di recuperare, ma è già tardi.
Infine, come decade il concetto di buona difesa, così quello di analisi su ciò che Stephen Curry realizza in campo. Semplicemente, abbraccia l’onnipotenza cestistica, creando tiri con modalità e da distanze che non erano nemmeno concepite prima che si affacciasse alla NBA. Quando si rivedono queste immagini, si ripensa a quelli allenamenti con Brandon Payne a contare tiri segnati soltanto quelli che entrano perfettamente al centro del canestro. E tutto acquisisce una normalità anomala.
Il dono di aver assistito alla grandezza di Stephen Curry
Stephen Curry è diventato il primo giocatore listato a 6’3’’ o meno (192 cm di altezza) a vincere il premio di MVP delle NBA Finals dopo Tony Parker nel 2007. Non è rilevante ciò che ha fatto, ma come lo ha fatto. Spesso era il giocatore meno prestante fisicamente per rapporto altezza e peso, ma ha finito con il guardare dall’alto verso il basso chiunque: avversari, tifosi e media. I tre anni dove ha condiviso i compiti di go-to-guy con Kevin Durant potrebbero aver delineato ma non definito le percezioni su di lui. I due anni di assenza dai Playoff potrebbero aver spento momentaneamente ogni memoria di una già rimarchevole carriera. Chiunque aveva bisogno di un richiamo alla sua corte. E a questo incontro si è presentato rinnovato, fresco, consapevole, più grande di quanto mai è stato prima.
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— Golden State Warriors (@warriors) June 30, 2022